L’HASHTAG – #capitanMexes

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Il pericolo del remake, o della minestra riscaldata. Tutta la nostra vita è scandita da questa minaccia ricorrente: una relazione che si ripropone, un’offerta di lavoro nella città in cui avevamo fatto Scienze Politiche anni fa (“mai tornare dove sei stato felice!“), il ritorno di Twin Peaks. Su tutto “ci si passa sopra almeno due-tre volte i piedi come sulle aiuole” (cit.). Poteva fare eccezione Philippe Mexes?

E dunque riecco la nostra Filippa, essere mitologico dalla peculiare carriera simile, per linearità, al tracciato sismografico di Osaka. Ci fa perdere lo scudetto con una partita disastrosa contro la Fiorentina, ci spinge sull’ultimo treno per la Champions con un gol a Siena, tira cazzottoni a Chiellini in piena area di rigore, finisce fuori rosa e riemerge come una boa galleggiante con due partite più che decorose contro Sampdoria e Inter. Oddio, è anche vero che nel derby poteva stabilire un record, primo capitano della storia ad essere espulso al primo minuto per il falletto al limite dell’area su Icardi, misericordiosamente ignorato dall’arbitro Guida. Ed è anche vero che al 90′ o giù di lì quasi mandava in porta Guarin, e che in definitiva un difensore centrale del suo spessore (non solo in senso letterale) non può aprire e chiudere con una vaccata la partita più importante dell’anno.

Ma questo passa il convento, mes amis. Mexes semi-migliore in campo (dopo Rami e Bonaventura, diciamo) sintetizza in cinque parole la cifra stilistica di questo povero derby. Non il più brutto (i due dell’anno scorso, per rimanere in anni recenti, furono persino peggio), ma di sicuro il più sgangherato e nevrotico, giocato solo in contropiede da entrambe le parti, zeppo di mischioni e pedate a caso, a volte verso la palla, più spesso su stinchi e ginocchia altrui (minuto più minuto meno, al 33′ del primo tempo, l’azione simbolo. una serie infinita di tackle e rimpalli tra Muntari, Guarin, Essien e Nagatomo, roba da levare il fiato). A un quarto d’ora dalla fine tutti i 22 in campo avevano nervi e gambe a pezzi, attraversati dai crampi e dalla tensione di una partita che vale già mezzo campionato, come i derbini tra Lazietta e Rometta dei primi anni ’90, che finivano sempre irrimediabilmente 1-1. Un 1-1 nettamente inferiore a quello, per dirne un altro, di Genoa e Palermo, che hanno distillato molta più qualità sia in difesa che in attacco.

Il braccio sinistro di #capitanMexes è il quarto braccio stagionale ad ospitare la fatidica fascia bianca, dopo quelli di Abbiati, Bonera e Abate. Aspettando Montolivo, che di quella fascia è il teorico titolare, e De Jong che altrettanto teoricamente sarebbe il vice. Nell’edizione 2011, il Regolamento Ufficiale del Gioco del Calcio dice che “è stabilito che le squadre abbiano un capitano per l’intera durata della gara. Pertanto l’arbitro deve assicurarsi che fino al termine della stessa vi siano in gioco i capitani e che negli elenchi dei calciatori delle due squadre siano specificati, oltre a quelli dei capitani, anche i nominativi dei calciatori che eventualmente li sostituiranno. II capitano deve portare, quale segno distintivo, un bracciale di colore diverso da quello della maglia“. Insomma, pare proprio che non se ne possa fare a meno.

 

Pubblicato da Giuseppe Pastore

Pugliese, classe 1985, milanista di ferro. Prima partita di cui ho memoria: Milan-Barcellona 4-0. Ammetterete che poteva andarmi peggio. Qui sotto i miei contatti.

2 Risposte a “L’HASHTAG – #capitanMexes”

  1. “Il tempo è un cerchio piatto. Tutto quello che abbiamo fatto e faremo, lo faremo ancora e ancora e ancora”. (cit.)

    Vale anche per Mexes.

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